INTERVISTE



Parlando con Ennio Speranza di Pierluigi Petrobelli
Foto: Ennio Speranza in radio
Per ricordare il Prof. Pierluigi Petrobelli recentemente scomparso, Francescantonio Pollice ha rivolto alcune domande al Prof. Ennio Speranza.
Come ha conosciuto il professor Pierluigi Petrobelli?

Come molti, moltissimi: all’Università “La Sapienza” di Roma, quando ero studente. In un certo senso mi sono laureato con lui ma senza averci studiato, visto che egli fu il presidente della commissione che valutò la mia tesi di Laurea. Tra l’altro, l’oggetto del lavoro, preparato invece con il professor Meloncelli, era il repertorio per strumento solista di Benjamin Britten, un compositore che Petrobelli conosceva benissimo e amava e che sarebbe stato importante per la nostra reciproca frequentazione.
Quando iniziarono, allora, i contatti diretti?
Vinto il dottorato di ricerca, sempre a Roma, ebbi modo di conoscerlo meglio e di apprezzarlo sia per le qualità musicologiche, che conoscevo, sia soprattutto per quelle umane. Anche in tal caso lui non fu il tutor del mio lavoro – che venne affidato al professor Fabrizio Della Seta –, seguì però con attenzione e passione i risultati delle mie ricerche, tanto più che il nucleo centrale della dissertazione riguardava il Quartetto per archi di Verdi per la prima volta analizzato estensivamente e sotto una prospettiva nuova. In Italia dire Verdi e dire Petrobelli non dico sia la stessa cosa, ma insomma... Dopo il dottorato accadde una cosa per me inaspettata. Pierluigi (ormai ci davamo del tu, un tu confidenziale ma rispettoso, come si usa nel mondo anglosassone) mi chiamò e mi chiese se volevo dividere un corso di propedeutica musicale con lui visto che quell’anno c’erano molti studenti. E quest’attestazione implicita di stima avvenne con una naturalezza e una discrezione che rifletteva in pieno il suo modo di porsi con le persone. Dividemmo il corso per alcuni anni fino a che lui non andò in pensione, e per me quella fu una palestra straordinaria. Sempre prodigo di consigli, di attenzioni, di spunti, Pierluigi Petrobelli è riuscito a cogliere in breve tempo i miei pregi e difetti come musicologo e a rendermeli noti con sincerità, discernimento e tatto, e io gli sono grato per questo.
Cosa ha significato per Lei Pierluigi Petrobelli umanamente e dal punto di vista musicologico?
Forse la parola amicizia è esagerata, chissà, ma certo è vero che per me la confidenza ricevuta e richiesta dal professor Petrobelli è stata da un lato un grande onore, dall’altro un piacere indimenticabile. La sua era un’aristocraticità naturale, quasi innata, senza ombra di affettazione o di snobismi sussiegosi, corroborata parzialmente dall’intensa esperienza anglosassone. Era altresì un uomo vitale, entusiasta, ricco di interessi. Al di fuori delle aule accademiche o dei convegni, magari seduti a tavola, rimaneva facile parlare con lui di musica alla stregua di un appassionato qualsiasi, discorrendo di questo o di quel musicista o delle nostre predilezioni personali, spesso coincidenti. Dal punto di vista musicologico mi ha insegnato a non lasciarmi mai prendere dai facili entusiasmi, a verificare sempre con rigore e attenzione quello che andavo scrivendo o elaborando, ma altresì a non dimenticare mai l’approccio emotivo e passionale. A lui, per esempio, devo la ‘scoperta’ di Luigi Dallapiccola, o meglio, di una modalità completamente diversa da quello che avevo di ascoltare la sua musica.
Anche se forse è prematuro, possiamo tentare di tracciare un quadro dell’eredità di Pierluigi Petrobelli?
Potrei snocciolare una serie di pubblicazioni importanti, o parlare del suo infaticabile lavoro come direttore dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani, riferirmi alla sua teoria dei tre livelli in merito agli studi di drammaturgia musicale o enumerare i diversi ruoli che egli ha svolto in ambito accademico e musicologico, ma la cosa che mi sta più a cuore è ricordare il grande numero di ottimi e preparati studiosi che con lui si sono formati, ognuno con la propria personalità, con una visione spesso differente l’una dall’altra ed egualmente acuminata. Questo credo sia un grande segno. E un importante lascito.
Ritiene auspicabile che in Sua memoria si possa costituire un team di studiosi, non necessariamente Suoi allievi, che possano fare il punto sullo stato attuale della musicologia italiana e tracciarne le linee per il futuro?
Sarebbe un magnifico modo per ricordare la sua figura. Mi piacerebbe anche che si potesse istituire un premio o un convegno a lui dedicato. Sono sicuro comunque che queste sono iniziative che prenderanno corpo presto, visto il cordoglio che la sua scomparsa ha suscitato in tutto l’ambiente musicale e il calore e l’affetto con cui è ricordato oggi. Ho usato la parola scomparsa, ma credo a sproposito: il suo esempio e la sua figura – come d’altronde quelle di Nino Pirrotta o di Fedele D’Amico – rimarrà sempre viva e resterà un faro per gli amici, i colleghi e le generazioni più giovani.
12 marzo 2012
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