In
 questi anni ho dedicato al Fagotto un lungo lavoro personale di studio 
ed esplorazione. I primi esiti di questo lavoro consistono nella parte 
solistica in Mani. Long (2001) per Ensemble, alcuni Studi da concerto (2003), Legno. Edre I-V (2003-04) per Fagotto solo, Legno. Stele (2004) per due Fagotti solisti e Ensemble.
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Legno Edre I-V (2003-04)
per Fagotto solo è un lavoro di ampio respiro (78') dove interesse 
tecnico, pensiero compositivo, concezioni astratte e una sorgiva 
emozione verso il suono si incontrano nel punto dove diventa possibile 
una particolare “libertà”: quella che nasce quando una totale 
familiarità con lo strumento viene orientata dalla attenzione e dalla 
capacità di ascolto.
Il suono tradizionale qui non è più il centro. Il fagotto si apre 
completamente offrendo tutta l`inesplorata disomogeneità delle proprie 
caratteristiche fisiche e acustiche. Quindi espressioni come “ricerca 
sul suono”, “ricerca timbrica”, “effetto” ecc. (che si riferiscono 
sempre al ruolo evidente o nascosto del suono tradizionale) in questo 
caso sono prive di senso. Lo strumento viene ripensato interamente sotto
 la spinta di una diversa concezione musicale che pone le proprie 
gerarchie e i propri orizzonti - inevitabilmente tutta la tecnica 
strumentale muta, e soprattutto il rapporto combinato mani-bocca (e il 
sistema di notazione relativo). All’interprete è affidato il difficile 
compito di inoltrarsi in questo spazio aperto.
Metrio (2004)
In alcuni studi preparatori ho utilizzato frammenti di particolari 
improvvisazioni vocali, che hanno un chiaro influsso di tecniche vocali e
 strumentali greche e mediorientali (Mirologhi 1 – 1978, Demetrio
 Stratos). Inizialmente ho cercato di imitare e riprodurre questi 
modelli proprio perché la loro natura è estremamente lontana dal mondo 
tecnico e articolatorio del fagotto.
Un lavoro lento, spesso impossibile, con la consapevolezza però che ogni
 stadio di questo lavoro doveva essere contemporaneamente una scoperta 
tecnica e la inevitabile apertura di uno spazio: nello strumento e nella
 mia attenzione.
In altri studi ho sviluppato delle tecniche in grado di produrre onde
 di suono instabili e in costante trasformazione, senza tracce 
riconoscibili di una articolazione “umana” (mano-bocca), alcune di 
queste sono vere e proprie vibrazioni meccaniche, fenomeno piuttosto 
eccezionale per la natura del legno.
Connesse a queste due polarità iniziali sono cresciute costellazioni 
di stati e vibrazioni dove invece il più piccolo dettaglio del suono e 
delle trasformazioni diventano materia, per una attenzione che cerca e 
rende udibile un “interno“ del suono.
Attraverso il lavoro qualcosa prende corpo, si concentra in una forma
 plastica, fissa una misura, diventa un nodo di legami. Ogni apparizione
 è un ́apertura della materia. Ogni stazione del movimento è anche il 
“passo” di una trasformazione. Questa Forma non ha bisogno e non vuole 
alcun nome.
Ad un primo ascolto si potrebbe pensare che si tratti di una certa 
“libertà” senza struttura (quella “libertà” di secondo grado che 
normalmente si ascrive alla improvvisazione...). Forse è un bene che 
sembri così.
Il mio ringraziamento e la mia ammirazione a Lorelei Dowling, cui il pezzo è dedicato.
Pierluigi Billone: dal suo sito