M atrix per orchestra d’archi di Simone Benedetti è l’opera
segnalata nella Va edizione del Concorso Nazionale di Composizione
Francesco Agnello . Al compositore è stata assegnata la pubblicazione
della partitura nella collana Stilnovo co-prodotta dal CIDIM e dalle Edizioni Curci di Milano .
Gli abbiamo chiesto di questa composizione: l'idea, l'ispirazione e lo sviluppo compositivo
Matrix nasce dalla definizione di tre elementi di partenza, o meglio, tre oggetti: la saturazione cromatica, il trillo e il jeté. Questi tre oggetti, uno teorico, uno astratto e uno strumentale, e le loro possibili elaborazioni costituiscono la base di tutto il materiale. Ecco quindi questa idea di “matrice” come insieme di pochi e semplici elementi da cui far scaturire quante più relazioni possibili con le quali informare (nel senso di dare forma) al brano. L’arcata formale è stata concepita come un’unica gittata attraverso un progetto di massima che è rimasto invariato durante la lavorazione: gli episodi e le relazioni tra questi, così come gli apici tensivi, rispettano tutti la loro collocazione nel concepimento iniziale. Le deroghe che ho effettuato sono tutte derivate da esigenze locali che la partitura manifestava, come imprimere una maggiore spinta o, al contrario, concedere più respiro a un determinato momento. Il gesto di apertura del brano, un’ottava saturata cromaticamente, ha in se racchiusi tutti i germi di ciò che verrà dopo, come una sorta di big bang, e attraverso la sua reiterazione, plasmata mediante una progressiva espansione di registro ed una progressiva contrazione temporale, fa venire alla luce gli elementi di cui parlavo all’inizio; anche questi, a loro volta, avranno le loro evoluzioni e involuzioni nel corso del brano. Per sottolineare questa idea di matrice, in cui tutto è riconducibile ad un codice originario, mi sono servito anche di procedimenti simil-frattalici. Mi affascina l’idea che la forma di un elemento macroscopico si rintracci in quella di un elemento microscopico, come se il grande fosse una proiezione del piccolo ma in un ordine di grandezza superiore.
Del tuo comporre in generale: perché scrivi/scrivere musica oggi?
E’ chiaro che la scrittura nasce da una esigenza di espressione. Il motivo per il quale io scrivo suoni risiede principalmente nella mia scarsa fiducia nel linguaggio verbale. I poeti, e tutti coloro che fanno arte usando le parole, portano il linguaggio ad un livello di astrazione molto alto per cui riescono a svincolarsi dai significati immediati e raggiungere dei livelli più profondi. Con i suoni questo avviene naturalmente non avendo delle relazioni significante-significato così immediate e univoche. Quando compongo (a meno che non sia funzionale a qualcosa) non devo scrivere nulla che significhi “macchina” o “Pirenei”, non devo raffigurare paesaggi o bambini che giocano e quello che scrivo non deve sorreggere archi, cuocere o riparare dal freddo. Questo essere svincolato al contempo da necessità fisiche, figurative e di significato verbale fa della musica un mezzo di espressione assolutamente unico e idoneo alle mie inclinazioni. Sul perché scrivere musica oggi, quindi sul perché gli altri compositori scrivano, credo di non poter rispondere per tutti. Mi piacerebbe però che la risposta fosse solo inerente alla propria necessità di esprimersi, senza addurre motivazioni che riguardino funzioni sociali o politiche o chissà cos’altro, perché questo equivarrebbe ad un giustificarsi. Trovo la strutturale inutilità dell’arte troppo preziosa per essere contaminata da uno scopo: è così bello che esista qualcosa solo perché qualcuno l’ha voluto e non perché questa debba assolvere ad un qualche compito. Quali sono gli autori che ti ispirano meglio, quali le tecniche compositive che prediligi, quali tecniche strumentali?
L’insieme dei miei riferimenti musicali è piuttosto vasto; volendo razionalizzare lo dividerei in almeno tre sottoinsiemi. Nel primo metterei la musica “tradizionale”, diciamo da Perotino a Wagner, in cui è veramente difficile trovare autori che non abbiano tanto da insegnare - almeno tra quelli sopravvissuti alla storia. Del secondo insieme fa parte tutto ciò che è di mio interesse nel panorama musicale del ‘900 occidentale. In questo senso ho due numi tutelari che nel tempo sono diventati per me punti di riferimento inossidabili: Gyorgy Ligeti e Franco Donatoni. Attorno a loro ruotano tantissimi altri compositori che ascolto e studio avidamente. Nel terzo gruppo metterei compositori della generazione successiva, Grisey, Murail, Fedele, Sciarrino, solo per citarne alcuni, fino ai più giovani come Francesco Filidei o Yair Klartag. Ultimamente sto ascoltando e studiando molto Christophe Bertrand di cui ammiro la chiarezza formale, il gusto e l’iridescenza dei panneggi orchestrali. In una categoria a parte metto i miei coetanei, amici o colleghi in Accademia, dei quali quando posso ascolto i pezzi o chiedo di poter studiare le partiture, spinto da un interesse sincero verso ciò che viene scritto in questo momento da persone a me più vicine. Riguardo le tecniche compositive, posso dire senz’altro di essere “in cantiere”. Essendo un compositore in formazione, sto ancora lavorando all’affinamento di un portafoglio di tecniche compositive che mi si confacciano. Dal punto di vista strumentale la mia scrittura è, al momento, piuttosto tradizionale. Sto approfondendo le tecniche estese, sia come compositore che come pianista, perché ritengo sia fondamentale conoscerle a fondo per poter decidere cosa sfruttare e cosa non per i propri intenti espressivi. D’altro canto, anche tra le mie figure di riferimento citate poco sopra ci sono compositori che fanno delle tecniche estese un proprio punto distintivo e compositori che ne fanno un uso decisamente marginale.
Quali sono gli organici con cui hai lavorato finora? E quali preferisci?
Finora ho scritto per svariati organici cameristici, strumento solista, nonché per coro e per orchestra. Tra le formazioni più classiche mi manca ancora un quartetto d’archi compiuto e, curiosamente essendo un pianista, il pianoforte solo. Senz’altro prediligo formazioni estese e, più di tutte, l’orchestra, che mi da modo di giocare su colori e texture complesse in maniera molto più libera rispetto ad altri organici. Nutro tutt’ora un timore quasi reverenziale per lo strumento solista; ritengo che sia il vero banco di prova del compositore, perché non ammette tentennamenti. Ogni volta misurasi con uno strumento solista corrisponde ad una sfida da affrontare.
Cosa proponi di vedere e ascoltare della tua musica?
Come compositore “in cantiere”, ritengo che i lavori più rappresentativi siano quelli scritti negli ultimi due anni al massimo. Il caso ha voluto che questo lasso di tempo fosse coperto per almeno tre quarti da una pandemia mondiale, che certo non ha facilitato la proposta di propri lavori da eseguire. Se a questo aggiungiamo che il mio interesse recente si è perlopiù rivolto ai grandi organici… direi che ho decisamente sbagliato momento! Proporrò quindi, anziché degli ascolti, dei brani che, se fossero ascoltabili, darebbero una buona idea del mio stile attuale ed inizierei proprio da Matrix. In questo brano credo di aver trovato delle soluzioni convincenti ad una serie di problematiche compositive che mi ero posto. Devo dire che, in questo senso, ricevere la menzione è stato un riconoscimento che ha avuto per me un valore davvero grande. Anche Perturbare per orchestra e Satellite di una serenata (omaggio a Maderna) per clarinetto, violino e risonanze di pianoforte, entrambi del 2020, rappresentano delle conquiste dal punto di vista compositivo, specialmente in relazione all’aspetto percettivo. Infine mi piacerebbe che venisse ascoltato Isaia, cantata per soli, coro e orchestra. E’ la mia quarta prova di diploma e, oltre a rappresentare un momento importante del mio percorso, è uno dei pochissimi lavori antecedenti al 2020 che ritengo tutt’ora valido e che mi rappresenta pienamente come compositore.
E della musica in genere?
Ci sono dei brani lungo tutta la storia della musica occidentale che, nonostante viaggino sulle decine di ascolti, non smettono mai di suscitare in me reazioni viscerali, dalla commozione all’eccitazione febbrile, passando per tutti gli stadi intermedi. Ne cito solo alcuni, in ordine sparso: il finale della Sagra di Stravinsky, il terzo movimento di Sinfonia di Berio, Sicut Cervus (ne cito uno per dirne molti) di Palestrina, Vertigo di Bertrand, la sezione finale di Khorakhané di De André, praticamente tutti i movimenti lenti delle sonate di Mozart, i passi corali del Requiem di Ligeti, gli Intermezzi op. 117 di Brahms, specialmente il terzo, Il Kyrie I della Messa in Si minore di Bach, Sei pezzi per orchestra di Webern, Tonight (il quintetto) da West Side Story di Bernstein, il terzo movimento di Stele di Kurtag.
Che strumenti offrono le tecnologie?
Trovo che l’apporto dell’elettronica alla composizione musicale possa essere decisivo. Nella mia attuale fase creativa sono più rivolto verso gli strumenti acustici puri - ho usato live electronics in una sola occasione - tuttavia è innegabile quanta ricchezza questi strumenti possano portare all’atto creativo. I compositori che ne hanno sfruttato sapientemente le possibilità hanno ottenuto risultati formidabili. Come mi è capitato di dire in passato: l’elettronica nella musica è una potenza, nel senso che aumenta esponenzialmente le possibilità espressive.
Qual è la composizione che ha cambiato la tua vita?
Ricordo di aver subito un primo grande scossone quando Marco Gatti, mio maestro di composizione in conservatorio, mi portò la partitura di Serenata II di Donatoni, mostrandomi le derivazioni dall’originale di Petrassi e tutti i codici di trasformazione del materiale. Ero al terzo, avrò avuto 16 anni, e quella fulminazione mi fece capire quanto essere un compositore fosse diverso da quello che fino ad allora avevo immaginato. E’ come se avessi intuito il peso della musica ben scritta. E’ molto difficile da spiegare, ma c’è un qualcosa che tiene ancorate le note alla pagina e le rende necessarie. Questo qualcosa è il pensiero compositivo e senza di questo la mia sensazione è che le note “svolazzino” per la pagina, come se non avessero il grip necessario per restare dove stanno. Ad oggi sono convinto che ciò che fa di un quartetto di Haydn un quartetto di Haydn consista solo in minima parte nelle note che si ascoltano e certamente questa concezione, anche se formulata anni dopo, è debitrice di quella prima esperienza e di quegli insegnamenti.
Che tipo di pubblico ascolta la tua musica?
Fino ad ora tra chi ha ascoltato i miei brani ci sono stati amici, colleghi, insegnanti e avventori più o meno consapevoli, motivo per cui non credo sia possibile parlare di un “pubblico”. Ne consegue che la risposta più corretta che posso dare a questa domanda è: non appena ne avrò uno ve lo saprò dire!
Infine, Quali progetti hai in cantiere per il prossimo futuro?
C’è un progetto che mi sta molto a cuore e che proprio in queste settimane sta venendo alla luce. Con dei miei colleghi musicisti stiamo formando un ensemble dedicato alla musica contemporanea e per questo ensemble sto scrivendo un quintetto. Nei mesi estivi mi dedicherò ad un progetto teatrale che, anch’esso causa Covid, è rimasto sopito per molto tempo, sperando che quella che stiamo vivendo sia una vera ripresa e non un fuoco di paglia. In autunno eseguirò il Makrokosmos di Crumb (su cui ho incentrato la mia tesi di biennio) in un recital per piano solo. Per il resto ho in programma corsi e concorsi; quello che mi interessa in questo momento è scrivere, studiare tanta musica e… magari, qualche esecuzione dei miei pezzi. di Anna Rita Pappalardo
25 giugno 2021
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