#tempocalmo: 5 domande ai musicisti in tempo di coronavirus: Emanuele Arciuli
Emanuele Arciuli, pianista
1 - Come passa il suo tempo?
Studio, soprattutto nuovo repertorio che - in larga parte - avevo già in mente di leggere. Per il resto ascolto musica nuova o che non conoscevo, leggo romanzi, cerco di progettare, tentando di decifrare un futuro molto incerto per tutti, augurandomi possa essere ricco di nuove opportunità. Gli artisti devono essere costruttori di ottimismo. E seguo i miei allievi, sia di Conservatorio che dell’Accademia di Pinerolo, pressoché quotidianamente. Questo per quanto attiene alla musica. Per il resto, ho imparato a cucinare piatti nuovi, e ho cercato di “resettare” un po’ di cose, in qualche modo c’era bisogno che mi fermassi a riflettere. Ma non voglio dire, con questo, che la quarantena sia un’esperienza felice. Non lo è per me, non lo è per il nostro settore, rispetto al quale mi sento molto solidale. È però una sfida, dura, dalla quale usciremo diversi, e spero migliori, anche se non mi faccio troppe illusioni a riguardo.
2 - Di cosa si sta occupando sul piano musicale?
In particolare sto preparando due recitals che - restrizioni di viaggio permettendo - dovrei eseguire a New York la prossima primavera. Uno è costituito dalle 36 Variazioni su “El pueblo unido” di Rzewski, un’autentica sfida, sempre rinviata; ma adesso è arrivato il momento di affrontarla. L’altro, per un progetto di Carnegie Hall e Columbia che si chiama “Music in Time of Oppression” presenta opere di autori AfroAmericani (e nativi americani) di straordinaria bellezza, in alcuni casi molto legate al jazz. Una sorpresa anche per me. Poi devo studiare il IV Concerto di Martinu, altri lavori per pianoforte (tra cui le Ballate op.10 di Brahms). Insomma tante cose. Inoltre - in queste settimane - ho scritto un libro divulgativo sulla musica contemporanea, che sarà pubblicato in autunno. È una cosa cui tengo molto.
3 – Ha proposto sue esecuzioni in streaming?
No, anche perché i miei pianoforti non erano in perfette condizioni e non si può chiamare un tecnico in questi giorni. Rispetto e considero con grande simpatia le iniziative di musica in streaming, ma per quanto mi riguarda - al di là della saturazione che c’è stata - penso che la musica vada eseguita in contesti diversi e appropriati. La qualità, la magia del suono, che è il marchio di fabbrica di ciascun musicista, non si può cogliere in streaming. E poi credo che il silenzio sia l’unica cosa da fare davvero ascoltare, a chi deve prendere le decisioni sul nostro futuro. Al di là di qualunque surrogato online, e soprattutto al di là di ogni retorica, una vita senza musica è una vita meno ricca di bellezza e di pensiero.
4 - Quale è la composizione che ha cambiato la sua vita?
Sono molte. Potrei citare la Patetica di Beethoven, che peraltro non ho mai suonato, che da bambino ascoltai nella esecuzione di Yuri Boukoff, perché nacque lì il mio grande amore per Beethoven. Ma, visto che la musica contemporanea assorbe ormai la maggior parte delle mie energie musicali, non posso non citare le North American Ballads di Rzewski che ascoltai, in radio, una quarantina di anni fa, con Rzewski dal vivo a Roma. Quel brano ha cambiato i miei orientamenti musicali in maniera decisiva.
5 – - Un suo pensiero al pubblico dei concerti?
Soltanto quello di non accontentarsi della qualità di un video, e ti aspettare - con fiducia e senza paura - di tornare nelle sale da concerto. Il pubblico dei concerti, soprattutto, mi auguro che veda una partecipazione di persone nuove, curiose e aperte a nuovo repertorio.
www.emanuelearciuli.com

© Cidim