Intervista a Giuseppina La Face: il dono di saper ascoltare è un esercizio quotidiano
Mercoledì 05 dicembre 2012 - Quali strategie ritiene più efficaci ai fini di una maggiore consapevolezza musicale da parte delle giovani generazioni?
Le strategie sono molteplici... i giovani imparano in tanti modi: a scuola, attraverso i media, la radio, la televisione, imparano tra di loro, scaricando musica sul telefonino e poi condividendola. Se noi parliamo dell'educazione formalizzata, quella della scuola, allora le strategie sono soprattutto le strategie di ascolto: bisogna insegnare ai giovani ad ascoltare. Oggi purtroppo (come sappiamo) nel nostro mondo si ascolta poco: basta assistere ad un talk show televisivo per notare in che modo tutti parlano gli uni sugli altri! No, l’ascolto non è molto esercitato. Sicuramente è strategia fondamentale insegnare ai giovani ad ascoltare, ad aprirsi: l’ascolto non è soltanto quello musicale, ma è anche l’ascolto dell’altro, della parola dell’altro, dei concetti degli altri. Soltanto ascoltando si metabolizzano le idee e le si fanno fermentare, quindi io credo che questa sia la strategia vincente. A livello informale si può imparare in tanti modi, ma nella scuola, che è un’agenzia formativa (quando parlo di scuola mi riferisco a tutti i suoi livelli), bisogna insegnare ai giovani ad ascoltare.
Quali iniziative l'Università intraprende per favorire una più diffusa formazione musicale soprattutto nel mondo della scuola?
L’Università intraprende molte iniziative: posso dire che noi lavoriamo a 360 gradi con gli insegnanti, nel senso che abbiamo molti rapporti con loro attraverso i corsi di formazione e gli uffici scolastici regionali. Nei corsi di formazione lavoriamo con i docenti in maniera che i contenuti da noi trasmessi possano poi essere trasmessi agli studenti. Ciò sta dando ottimi risultati. Abbiamo sottoscritto protocolli d’intesa con vari uffici scolastici regionali: ne ricordo uno molto importante, triennale, che ora sta scadendo, ma che sarà probabilmente rinnovato. E' stato stilato con la Regione Puglia, ed il Comune di Mesagne in particolare. Lì, abbiamo lavorato con gli insegnanti, poi gli insegnanti hanno lavorato con gli studenti e si è giunti anche ad alcune rappresentazioni teatrali ideate dai ragazzi, molto interessanti per il connubio stretto fra ascoltare, apprendere e produrre. Occorre infatti conoscere la musica per suonarla bene: mai suonare senza comprendere quello che si sta suonando! Abbiamo anche un protocollo in atto con la Regione Sicilia, abbiamo avuto un protocollo (anche questo da rinnovare) con la Regione Emilia Romagna e probabilmente ne partirà uno con il Lazio.
Quali sono i rapporti fra il mondo della ricerca musicologica e quello della concertistica?
I rapporti, almeno a Bologna, sono ottimi nel senso che spesso e volentieri i docenti  e i nostri dottorandi di ricerca scrivono per le associazioni concertistiche e per il teatro comunale: stilano i programmi di sala e tengono anche delle conferenze, o spiegano determinate opere musicali. Noi a Bologna teniamo molto a ciò: il rapporto fra ricerca musicologica e il mondo concertistico è vitale per noi; esso è molto efficace, come ho detto, anche nei gradi del dottorato (non parlo dunque solo dei docenti ma anche dei giovani che si stanno formando).
Ritiene necessario un maggiore rapporto fra Università e Conservatori ai fini di una comune azione volta a favorire una più diffusa conoscenza della musica soprattutto fra le giovani generazioni?
Assolutamente sì, io lo dico da sempre e non lo dico soltanto io, ma tutta l’associazione ADUIM (ossia l’Associazione dei Docenti Universitari Italiani di Musica): il rapporto privilegiato fra Università e Conservatori porterebbe senz’altro la musica ad ottenere gran vantaggi. Purtroppo, per molti anni, i conservatori sono andati per conto loro e anche le università. Talvolta, anzi, ci sono state delle incresciose divisioni, non si capisce per quale motivo. E’ veramente assurdo, anche perché se riflettiamo su cosa sta succedendo in tutto l’occidente, ci rendiamo conto che le risorse sono sempre minori per le discipline umanistiche. E le discipline artistiche, poi, sono in fondo alle discipline umanistiche… quindi dividersi non è produttivo. Noto comunque che da alcuni anni le cose stanno cambiando: si comincia a collaborare veramente. Io, personalmente, ho degli ottimi rapporti con il Conservatorio, dal quale peraltro provengo perché ho insegnato vent’anni nel conservatorio di Bologna, e mi sono trovata benissimo. Ho sempre intrattenuto ottimi rapporti con i colleghi dei Conservatori e credo che questa sia la strada da seguire, ossia quella di un rapporto sempre più stretto tra il 'far musica' al quale è deputato il Conservatorio e la ricerca musicologica, incardinata soprattutto nell’Università.
Giuseppina La Face è musicista e musicologa, specialista in pedagogia della musica nelle diverse fasce della formazione: l'intervista è di Alessandro Dolci .


Mercoledì 05 dicembre 2012