Maestro Battistelli, in che modo la musica può contribuire al rilancio di aree così drammaticamente disastrate come L’Aquila? E’ un contributo fondamentale: un momento di crescita culturale e spirituale, un modo per stare insieme agli altri, un momento di aggregazione, conoscenza e arricchimento. Soltanto la cecità di alcuni politici porta a non capire che occuparsi di cultura significa anche un investimento politico e sociale, significa crescita del territorio e non soltanto delle persone che lo abitano. Parlo veramente di cecità, perché un politico avveduto dovrebbe capire che la cultura organizzata bene, finanziata nel modo giusto, può spesso (anche se non sempre) creare un indotto economico nel territorio. Una crescita economica oltre che una crescita culturale. Il rapporto tra suono e spazio è uno dei temi centrali della creatività musicale contemporanea. L’auditorium che verrà inaugurato oggi è una straordinaria costruzione in legno, pensata come una vera e propria cassa di risonanza. Quale importanza hanno gli spazi in cui la musica prende vita, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista umano e culturale? Il rapporto tra musica e spazio in realtà ha una storia millenaria.... certo la nostra avanguardia occidentale ha trasformato lo spazio in un nuovo parametro del suono… Molti compositori hanno cominciato a pensare la musica per alcuni luoghi particolari. Oggi lo spazio è veramente un parametro, si può scrivere una musica per uno spazio e per come questo spazio reagisce al suono. Poi ci sono spazi architettonici naturali e spazi architettonici artificiali, e qui entriamo in una questione molto interessante e complessa come può essere il rapporto tra naturale e artificiale non solo nell’acustica, ma anche nell’articolazione stessa del suono. Quale importanza ha la creazione di nuovi spazi per la diffusione della cultura musicale? E’ fondamentale: in una cittadina come l’Aquila, lacerata, ferita, non possiamo che salutare con gioia la creazione di uno spazio per la cultura e per la musica, anche se piccolo. Senza problematiche inutili: cerchiamo di gioire per quello che abbiamo, non per quello che avremmo potuto avere. Una festa della musica per inaugurare il nuovo Auditorium, prove aperte al pubblico… iniziative interessanti per coinvolgere la cittadinanza. Pensa che sia importante per la musica colta trovare nuove vie per raggiungere un pubblico più ampio e per raggiungere i giovani? In che modo è possibile farlo, pensando specialmente alla creatività musicale contemporanea, di cui lei è autorevole esponente? Ormai viviamo in una dimensione polifonica, poliedrica, polilinguistica. Occorre quindi anche una polifunzionalità e una “policompetenza”. Ostinarsi ad operare una divisione dei generi musicali, è una modalità un po’ datata di pensare la diffusione della musica. Questo non vuol dire che ci debba essere un relativismo nelle proposte culturali, non vuol dire che si debba pensare che una cosa vale l’altra, ma certamente è cambiato il modo di percepire la musica. Un problema che l’etnomusicologia si è già posto in modo molto acuto: ha ancora senso parlare di etnomusicologia? Se spostiamo il discorso alla musica contemporanea, anche per noi è un problema quanto mai vivo: si può parlare ancora di musica contemporanea? Che spazio e che dimensione ha questa musica nella società? Le domande sono tante perché dobbiamo stabilire che funzione vogliamo dare alla musica: può esserci una funzione rituale, una funzione religiosa, una funzione estetica, una funzione artistica, una funzione pratica. Non possiamo pensare che una sola tipologia di musica possa rispondere a tutte queste funzioni. Il punto nodale è il ruolo che si vuole dare alla musica all’interno della società: dal momento che gli si dà un ruolo, tutte le musiche hanno pari dignità, ovviamente con complessità diverse. Vasco Rossi è importante, ha scritto cose interessanti, divertenti, ma non possiamo pensare che sia l’equivalente di un Luciano Berio , di un Luigi Nono , di uno Stockhausen… Sono funzionalità diverse, non ne faccio tanto un fatto di qualità, ma di funzioni diverse della musica. …o di un Giovanni Allevi (…ride) Beh... Giovanni Allevi…diciamo che se venissi colto da una crisi di panico e mi portassero in ospedale, forse Giovanni Allevi… la domanda è… aggraverebbe la crisi di panico, o me ne tirerebbe fuori? (…ride) Tornando seri, com’è nata la collaborazione con Claudio Abbado e con l’Orchestra Mozart? E’ stata una cosa straordinaria. Non sempre a un grande artista corrisponde un’alta dimensione umana… Nel caso di Abbado abbiamo questa unione. Abbado unisce “micro” e “macro”. Promuove il grande progetto Abreu, che ora sta portando in Italia, ma si è preoccupato anche di una realtà piccola come l’Aquila, facendosi parte attiva perché si costruisse un Auditorium e perché si riprendesse al più presto l’attività artistica e culturale. Ci sono artisti che pensano alla musica solo come una mercificazione e una produzione di denaro, e artisti che dividono questa ricchezza con gli altri. Si prestano e si danno, aiutando a costruire nuove realtà. In questo momento, in Italia, il mondo musicale attraversa un momento d’impasse e di profonda crisi, conseguenza di una crisi globale che coinvolge ogni settore dell’economia. In che modo secondo Lei è possibile trovare una via d’uscita e guardare con speranza al futuro? Quali sono gli strumenti con cui lo Stato potrebbe favorire una ripresa? Il sistema musicale Italiano è un sistema incancrenito. Dobbiamo solo capire se vogliamo asportare questo cancro o aspettare che tutto l’organismo ne sia invaso. Siamo a un livello di metastasi molto avanzato. Per anni ho pensato che fosse un problema generazionale, che con una nuova generazione le cose sarebbero cambiate. Invece non è cosi: con la nuova generazione queste metastasi sono ancora più pericolose perché non c’è più nemmeno quello spessore culturale che la generazione precedente aveva. Ci vuole allora una volontà politica di cambiamento e poi ci vuole la volontà di grandi artisti come Abbado, che decide di mettere in piedi un Auditorium all’Aquila e ci riesce. Allora se i grandi artisti decidessero insieme ai politici di operare un cambiamento che sia davvero radicale, forte e profondo su tutto il territorio, l’Italia riprenderebbe a produrre perché il potenziale artistico italiano è straordinario: parlo di interpreti, di compositori, di ensemble. Il problema è che ci sono delle procedure troppo oscure e troppo condizionate da relazioni che con l’arte non hanno nulla a che vedere. …quindi una riforma strutturale… Una riforma antropologica direi: non si tratta di “rottamare” questa o quella singola persona, non si tratta di sostituire un sovrintendente di 75 anni mettendone uno di 40 pensando che questo garantisca automaticamente maggiore modernità… non è così. Bisogna “rottamare” il pensiero vecchio, non la persona anagraficamente vecchia. I Suoi prossimi progetti? Di progetti ce ne sono sempre tanti… quando non ci saranno più progetti, sarà la volta che qualcuno dovrà scrivere un necrologio su di me (…ride). Ce ne sono tanti in Italia e all’estero: il prossimo (non solo come compositore) è il Festival “Play It! ”, che si svolgerà il 18, 19 e 20 ottobre 2012 a Firenze, interamente dedicato alla musica contemporanea Italiana. 7 ottobre 2012
Lunedì 08 ottobre 2012
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