INTERVISTE



Intervista a Mauro De Federicis in occasione dell'uscita del suo ultimo lavoro discografico "Turn the page"
Musicista poliedrico: chitarrista, compositore, arrangiatore e docente. “Turn the page” è il titolo del nuovo disco. Vuoi parlarcene? Certamente. E’ un disco quasi di rinascita, non pubblicavo a mio nome da qualche anno: non è inteso come girare la pagina di questo libro che è la vita (concetto un pò datato credo) ma è un po' come cercare di lasciarsi alle spalle questo momento storico, senza dimenticare. Sette tracce, 4 brani originali scritti da me alternati a delle cover del repertorio jazz “vestite” in una maniera diversa. In studio mi sono divertito molto a passare dalla chitarra elettrica e alla classica: con me tre musicisti che sono più di tre semplici compagni di viaggio: Carmine Ianieri al sassofono tenore, Gabriele Pesaresi al contrabbasso e basso elettrico, Fabio Colella alla batteria che si è occupato anche della parte tecnica (registrazione e mix). Il disco è stato registrato nello studio di Fabio, il Sasha Records. Nell’ultima traccia, All the things you are ci sono anche Marco Severa al flauto tr. e Giulio Barbieri al clarinetto basso.
Sei docente al Conservatorio Pergolesi di Fermo, nelle Marche, dove insegni sia Chitarra Jazz, Teoria musicale, Musica d’insieme jazz ed Ear Training per gli studenti di jazz. C'è una relazione per un artista tra docenza ed esibizioni live? Secondo me si, specialmente se insegni strumento. Quando sei in “ammollo” sul palco ti rendi conto di tante dinamiche che poi riesci a trasmettere agli allievi perché le subisci. Quindi per esperienza cerco sempre di dare i consigli migliori su come affrontare un palco non solo dal punto di vista musicale ma anche emotivo (le due cose sono complementari secondo me). Per quanto mi riguarda è probabilmente la parte più faticosa della docenza: ogni allievo ha esigenze diverse, un vissuto diverso ma anche un background musicale diverso.
Ti sei esibito in tutte le reti nazionali e non solo, festival e club importanti, hai calcato i teatri più importanti del mondo e anche la Carnegie Hall. Com'è stato? Alla Carnegie Hall di N.Y. io, il M° Marco Renzi (direttore) e Bepi d’Amato al clarinetto siamo stati invitati da una big band al completo (c’era anche il chitarrista, peraltro molto bravo) dell’Illinois, ma non ricordo il suo nome purtroppo. Eravamo solisti, abbiamo portato un prodotto italiano, da Rota a musiche napoletane, roba nostra insomma. Beh, il tempio della musica per eccellenza, sali sul palco dopo aver visto nei camerini o in corridoio le foto dei grandi che hanno fatto la storia della musica e allora mi sono detto “meglio non pensarci, è un palco come un altro…” ahahahah
Dei tantissimi stati esteri dove hai suonato, esiste il più caro, dopo l’Italia? E perché? Amo Istanbul che credo rappresenti la Turchia anche se non è la Turchia. Sono stato 6 volte - e nel 2017 presso l’Istituto Italiano di Cultura nell’ambito del progetto CIDIM Suono Italiano – Jazz session NdR - in questa città e ogni volta mi lascio coccolare dalla sua energia, ogni volta mi sento inebriato da una “eccitazione mistica” che però nulla ha a che fare con la religione. Non so, è complicato per me da spiegare però ogni volta che vado mi sento bene (sorride)
Prima dei saluti, vuoi ricordare qualche collaborazione importante? Credo di essere stato molto fortunato finora, ho avuto il piacere di poter dividere esperienze musicali diverse tra loro con artisti importanti, in primis sicuramente Milva con la quale ho collaborato per quasi 10 anni nel progetto Piazzolla. Poi Dee Dee Bridgewater, Bob Mintzer, Art Van Damme, Paolo Fresu, Fabrizio Bosso e via dicendo… ma anche musicisti che esulano un po' dal jazz, Ron, Fabio Concato, Nicola Di Bari, Giorgio Albertazzi e tanti altri ancora…
Allora tanti in bocca al lupo per questo nuovo disco e ad majora. Grazie, un saluto a tutti e buona vita con la musica!

Consigliamo l'ascolto su Spotify QUI

di Anna Rita Pappalardo

4 ottobre 2022
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