INTERVISTE



Intervista a Marco Angius
All’indomani dell’inaugurazione della 52ᵃ Stagione concertistica dell’Orchestra di Padova e del Veneto, incontriamo il Maestro Marco Angius, direttore artistico e musicale dell’OPV; reduce dal recente successo veneziano in cui, alla guida dell’orchestra patavina, ha inaugurato il 61° Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale con l’esecuzione di Inori di Karlheinz Stockhausen, il Maestro Angius è un punto di riferimento nell’interpretazione del repertorio contemporaneo, come dimostrano anche le incisioni discografiche con l’OPV – in prima mondiale – di Franco Donatoni (Abyss, Stradivarius) e Salvatore Sciarrino (Altri volti e nuovi 1 e 2).
Ed è proprio da queste esperienze lagunari, che hanno visto l’OPV protagonista di un secondo concerto dedicato alla musica dell’estremo Oriente per il Leone d’argento di Daj Fujikura, che vorremmo iniziare la nostra conversazione.

Maestro Angius, cosa ha significato per lei e per l’Orchestra di Padova e del Veneto inaugurare il Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia? Inaugurare la Biennale di Venezia con la prima esecuzione italiana di Inori (versione per 33 strumenti) ha rappresentato un’occasione di grande prestigio e onore per l'Orchestra di Padova e del Veneto. A Venezia abbiamo anche incontrato e lavorato insieme ai due interpreti storici ossia Kathinka Paasver e Alain Louafi: è stato davvero emozionante per tutti. Si tratta di un evento importante per la storia stessa dell’Orchestra che sta mutando il proprio codice genetico, aprendosi a un repertorio nuovo quanto entusiasmante. Credo sia un caso unico in Italia come testimoniano le collaborazioni con compositori viventi di spicco, la produzione discografica, le iniziative concertistiche e la divulgazione culturale. Quanto a Inori e alla sua celebre formula, si tratta di un lavoro che esplora le ragioni più profonde del suono e del comporre. Roberta Gottardi, l’adorante di questa occasione, è stata formidabile.

Veniamo dunque alla nuova Stagione concertistica dell’OPV, Teatri del suono, che ha preso avvio il 26 ottobre, potrebbe delinearci un profilo generale e spiegarci la scelta del titolo? La nuova stagione dell’Orchestra, Teatri del suono, s’ispira al rapporto ineludibile tra musica e drammaturgia puntando sulla forza rappresentativa del suono sia in senso figurato che reale. Possiamo intendere l’esperienza dell’ascolto come concentrazione del suono che si fa forma o per gli aspetti narrativi che declinano vicende astratte, trasversali alla musica stessa.

Come si articolerà e verrà declinato tale rapporto tra musica e drammaturgia all’interno del cartellone? La Stagione toccherà il teatro strumentale presente in opere come Fidelio – di cui verranno eseguite le quattro ouverture a partire dall’ultima, quella del 1824, che ha aperto il primo concerto di ieri sera –, negli Intermezzi per Il suono giallo di Alessandro Solbiati (in prima esecuzione assoluta), e in una rara scena lirica di Gounod come Marie Stuart et Rizzio. Senza dimenticare un maestro del teatro strumentale quale Gustav Mahler: negli ultimi anni l’OPV ha preso una certa familiarità con la sua musica e la presenza della Nona Sinfonia nella recente versione di Klaus Simon proprio nel concerto inaugurale, oltre che dei Rückert Lieder in programma a febbraio 2018, costituisce motivo di ulteriore, rinnovato approfondimento.
Ad arricchire il cartellone ci sarà inoltre una versione a sorpresa di Pierino e il lupo di Prokofiev affidata alla travolgente personalità di Paolo Rossi; un evento che riproporremo in più occasioni ed esporteremo anche a Milano come ospiti della Stagione dei Pomeriggi Musicali al Teatro dal Verme.

Durante la presentazione della Stagione ha avuto modo di dichiarare che tutti i programmi hanno “un’impostazione spavaldamente novecentesca”; come vede e concepisce la relazione tra tradizione e contemporaneità? Attraverso la musica viaggiamo nel tempo, perdendo e ritrovando noi stessi. Il passato come tale non esiste se non in un’accezione pateticamente vintage, nostalgia necrofila di una musica da intrattenimento soporifero; il passato si accumula e ci schiaccerebbe se non fosse percorribile in modo del tutto rinnovato, immaginandolo al presente e al futuro. Superando dunque la divisione in generi e le limitazioni stilistiche che vogliono collocare le epoche in contenitori d’occasione, siamo animati da una curiosità ellittica per i suoni e i compositori d’ogni tempo che risultino collegati da ragioni e logiche compositive rigorose quanto imprevedibili.

Rimanendo al tema a lei caro della contemporaneità, da due anni è impegnato con l’Orchestra di Padova e del Veneto in un percorso di sensibilizzazione e divulgazione che ha visto compositori di spicco, quali Salvatore Sciarrino e Ivan Fedele, protagonisti delle fortunate Lezioni di suono, trasmesse anche da Rai5; ci sarà nuovamente spazio per analoghe iniziative? Certamente! Giorgio Battistelli, cui l’OPV ha commissionato una novità assoluta dal titolo Exforma 2 programmata il 16 marzo 2018, sarà il nuovo compositore in residenza. E proprio Battistelli, anche grazie alla privilegiata collaborazione con l’Università di Padova, condurrà la nuova serie di Lezioni di suono, il cui tema riguarderà i due poli entro cui si svolge il viaggio del suono nel tempo: narrazione e ideazione a oltranza.

Quali altre novità possiamo attenderci? Un’importante novità sarà di certo costituita dalle Lezioni di sabato: non più la “classica” introduzione al programma del concerto, quanto piuttosto un approfondimento pomeridiano posticipato, impostato come “ripetizioni di musica” e affidato, oltre che all’Orchestra, a figure di spicco della musicologia e della divulgazione. Daniele Spini aprirà il ciclo il 28 ottobre con una lezione sulla Nona Sinfonia di Mahler, seguito nel corso della Stagione da Ricciarda di Belgiojoso, Sergio Durante, Paolo Petazzi, e compositori come Alessandro Solbiati e Francesco Antonioni.

C’è un invito che si sentirebbe di rivolgere al pubblico per questa nuova Stagione? Avvicinarsi alla musica con curiosità cercando di migliorarsi ma anche di salvarsi nell’ascolto musicale dagli aspetti più deludenti della nostra epoca, scoprendo la ricchezza di orizzonti che offre il repertorio di ogni tempo. Come esploratori o archeologi che ritrovano nel presente i reperti più sublimi del passato.

di Redazione
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