INTERVISTE



#tempocalmo: 5 domande ai musicisti in tempo di coronavirus: Francesca Dego
Francesca Dego, violinista
1 - Come passa il suo tempo e di cosa si sta occupando sul piano musicale?
All’inizio non avevo niente da dire. Mi sentivo apatica, spenta e, non mi vergogno, il violino era chiuso nella custodia. Il problema non sono solo i concerti cancellati, quello stimolo giornaliero e inesorabile che viene a mancare. Forse la cosa più difficile da affrontare è l’imposizione, la mancanza di libertà, quella di far musica, di condividerla. Ci sono diversi tipi di libertà, certo. E quella di suonare, star chiusa nel mio studio ma lasciar evadere la mente mi fa sentire una privilegiata. Finalmente quella sensazione, quella gratitudine, l’ho ritrovata dopo un paio di settimane e ora passo gran parte della giornata con il violino in mano. Sto inquadrando il secondo concerto di Bartók e la seconda sonata di Busoni, entrambi in programma la prossima stagione, e pulisco la mente con Bach, tanto Bach. In più suono con mio marito, il direttore d’orchestra Daniele Rustioni, che dopo anni frenetici è dovuto scendere dal podio e si è riseduto al pianoforte. Condivide con me momenti di estrema gioia in compagnia della musica che amiamo, da Mozart a Schubert. Abbiamo ritrovato insieme la felicità del poter “leggere” repertorio che non dobbiamo suonare in concerto, concentrandoci solo sulla condivisione e sullo scambio di idee.
2 - Ha proposto sue esecuzioni in streaming?
Per uno strumentista la musica da camera e il ritrovo in sala prove di una grande orchestra rappresentano la possibilità di condividere e costruire un pensiero, un processo di profonda empatia basato sull’ascolto e quindi sull’apertura. Ora siamo in panico. Da qui il proliferare online di tentativi, a volte goffi e a volte brillanti, di ritrovare quella dimensione condivisa, per non sentirci soli nemmeno musicalmente. Stiamo osservando la società schiacciata in tante piccole bocce da pesci rossi. In alcune di queste bocce c’è chi suona uno strumento, da solo, in un salotto minuscolo, con qualche parere scrostata. Altri posano in saloni faraonici tappezzati di partiture, con acustica da far invidia al Musikverein. Nulla di tutto questo ha però importanza perché ci stiamo “invitando” gli uni nelle case degli altri, un gesto di estrema fiducia. Con Daniele abbiamo ricevuto tante richieste di filmare e postare le “home session”, incorniciate dal nostro azzurro studio londinese. E sì, ogni tanto lo facciamo con gioia, per condividere momenti umani e personali, che nulla hanno a che fare con la nostra vita “altra”, quella ammaliante di concertista e direttore internazionali. E ora come non mai abbiamo tutti bisogno di umanità e di lasciarci vedere vulnerabili perché forse anche quelli più “tosti” tra noi a volte hanno voglia di rimettersi in gioco con un sorriso.
3 – Terminata l’emergenza COVID - 19 a suo avviso il modo di fruire la musica dal vivo sarà lo stesso o ripensato?
Credo che a tutti noi serva una doccia fredda di realismo, dobbiamo scendere a patti con il fatto che la nuova dimensione virtuale si sta conquistando spazio nella nostra professione, e lo manterrà a crisi finita. Per noi musicisti ostinarsi a nasconderci nello studio maniacale, nell’ingenua attesa che tutto torni come prima, chiuderà delle porte che invece sfrutterà chi già ora si sta ingegnando per rimanere al passo con i tempi. Nei mesi che hanno preceduto la pandemia veniva discusso sempre più a spesso l’impatto ambientale del nostro mercato, che non brillava certo per eco-sostenibilità. Varie orchestre scandinave avevano già deciso di non far più tournée, e recentemente anche la collega Patricia Kopatchinskaja ha annunciato di voler rivedere il proprio calendario evitando per quanto possibile gli spostamenti in aereo. Chissà, che sia veramente presto da ridiscutere il futuro del nostro eterno vagabondaggio musicale? Credo che ci sarà per lo meno un lungo periodo di transizione, nel quale la programmazione dal vivo di ogni paese ritroverà quella centralità nazionale che associamo a tempi ormai lontani.
4 - Quale futuro lavorativo si prospetta per il settore e soprattutto i giovani interpreti dopo la pandemia?
Temo tantissimo la possibile risposta a questa domanda e spero di sbagliarmi. Credo che alla riapertura lo “spazio” sarà diminuito e quindi la competizione aumentata. Chi ha già una posizione incontestabile e una carriera collaudata sul mercato ritroverà sicuramente gli sbocchi necessari per la ripartenza ma i giovani che si affacciano al mondo lavorativo avranno perso tempo e possibilità irripetibili, trovandosi inoltre a “gareggiare” con colleghi più famosi, affamati di lavoro dopo il periodo di magra. Nel frattempo purtroppo molte società di concerti, agenzie e orchestre a livello internazionale avranno sofferto o chiuso i battenti. Chi resiste avrà bisogno di concentrarsi su proposte a minimo rischio, su nomi noti e su repertorio “popolare”. Per evitare questo, o almeno contrastare un trend che si preannuncia drammatico, diventerà vitale proteggere e investire come non mai sulle nuove leve, dando loro la visibilità e le opportunità che faticheranno a trovare in modo organico.
5 – Vuole rivolgere un pensiero/appello al pubblico dei concerti?
A tutti noi, musicisti e pubblico, auguro di ritrovarci presto a sperimentare quel gesto, quel respiro, quell’occhiata che non ha bisogno di parole, quella dimensione dove il tempo scorre scandito dalla fantasia. E forse anche ad apprezzarli di più, ora che sappiamo cosa significhi farne a meno.
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